Siamo in viaggio, il furgone è tornato a farci da casa, sto scrivendo da qui. In queste ore sono pieno di gratitudine per la tournée che è appena cominciata, per i tanti bellissimi incontri fatti nei giorni scorsi, per la gioia che stiamo sperimentando. Ce lo siamo detti anche poco fa tra noi: è proprio una benedizione essere on the road again.
Fatta questa veloce premessa, in queste settimane in realtà mi sono spesso ritrovato a riflettere intensamente sulla situazione in cui versa il nostro Paese.
Ammetto la mia ignoranza specifica: non sono un esperto politico. Tuttavia sono un 35enne che ha visto in lungo e in largo l’Italia, lavorando ovunque, incontrando le comunità di quasi tutte le provincie dello stivale. Negli anni perciò ho immagazzinato esperienze, opinioni ed osservazioni a 360°; così mi sono fatto un po’ un’idea di come stanno le cose.
Il punto è questo, e credo sia evidente a molti: siamo fuori tempo massimo.
Dal novembre 2011 si sono susseguiti quattro presidenti del consiglio che mai sono stati espressione chiara della volontà elettorale dei cittadini e innumerevoli sono stati i cambi di casacca all’interno del Parlamento (lo dico come osservazione empirica, senza giudizio). L’efficace sintesi di ciò si ritrova nell’espressione “governo non eletto”, che tecnicamente è una affermazione non corrispondente alla dinamica costituzionale, ma poi appare sostanzialmente corretta. La politica nazionale-centrale è stata di fatto in un altro pianeta rispetto alla realtà e alla volontà della maggioranza dei cittadini per molti anni.
Oggi, dopo 88 giorni dalle elezioni del 4 marzo, nasce il governo Conte (Di Maio / Salvini).
La confusione delle scorse settimane si è generata anzitutto per colpa di una legge elettorale voluta proprio dalla maggioranza dei parlamentari della precedente legislatura. Chi ha votato questa legge elettorale sapeva cosa sarebbe successo. Perché l’hanno voluta così? Siamo in molti a domandarcelo, a soffrire e preoccuparci per tutto ciò. Dov’è la verità?
Ma, ancor prima, mi domando: cos’è la verità in un Paese come il nostro?
Un Paese dove i virtuosi vengono bastonati. I bugiardi e gli spreconi giustificati e, in alcuni casi specifici, premiati.
I fatti dimostrano tristemente che chi amministra bene la cosa pubblica grazie al proprio talento, all’amore e ad impressionanti dosi di lavoro, viene sfruttato ancor più per la sua capacità di sopportare il sacrificio. Gli organi più centrali sgranocchiano e ingurgitano le briciole di un sistema che mette in ginocchio le comunità locali. Un assistenzialismo clientelare divora da decenni aree ben note del Paese a discapito dell’intera comunità Italia. Gli onesti pagano una tassazione mostruosa, assolutamente ingiustificata per i servizi che non ricevono. Sono moltissimi quelli che, come noi, lavorano principalmente per mantenere un sistema statale allucinante.
I più deboli (bisognerebbe capirsi su chi sono i più deboli) vengono dimenticati, l’assistenza a chi davvero è nel bisogno viene erosa; l’educazione maltrattata, la libertà di scelta ostacolata, la sicurezza resa impossibile dall’assenza di norme, mezzi e tutele per chi l’amministra nelle città e tra la gente.
Per non parlare poi dell’impossibilità di fare impresa in modo sano e snello. Chi ci ha provato o ci prova purtroppo sa che in questo Paese è difficile fare quasi tutto ciò che una persona di buona volontà si proponga di realizzare. Bisogna armarsi di dosi impressionanti di pazienza e sperare di avere qualcuno – genitori, nonni, amici – che possano dare una mano, sennò … tanti saluti.
E le famiglie? Le madri? Da quanto tempo manca una seria attenzione a tutela del nucleo fondante della società, quindi al futuro del nostro Paese?
Potrei andare avanti all’infinito. Il punto è che questa non vuole essere un’analisi minuziosa, ma la condivisione di una preoccupazione che sento dentro sempre più pungente; preoccupazione che diviene insopportabile quando mi ritrovo di fronte a migliaia di giovani, scuola dopo scuola, palco dopo palco, a parlar loro di speranza e di coraggio, di amicizia e di responsabilità. La verità è che quei giovani stanno ereditando una patria a brandelli.
Molti di noi si sentono feriti dalla politica degli ultimi anni, ma questo non deve toglierci la consapevolezza che il nostro Paese è frutto anche delle nostre scelte, della nostra partecipazione o del nostro menefreghismo. E, per quanto le ingiustizie che subiamo ci abbiano tolto molta serenità, dobbiamo tenere duro e imparare a fare sentire meglio la nostra voce e la nostra presenza. Il presente è adesso, ora.
Non so che direzione prenderà questo nuovo esecutivo. Prego affinché i nuovi eletti possano resistere alle grandi difficoltà e tentazioni a cui si è esposti con ogni evidenza in certi ruoli.
E pensare che nulla è come l’Italia, culla della cultura e della bellezza, ma anche dell’ingegno e dell’accoglienza, della qualità e dell’eccellenza in una quantità incalcolabile di settori.
L’Italia resta difatti davvero uno dei luoghi più straordinari del pianeta e, per qualche ragione, resta una terra benedetta. Benedetta da milioni di persone che ogni giorno fanno il bene, che donano il loro meglio, che lo fanno perché è giusto, perché comunque sia ne vale la pena. Perché siamo fatti così. Il problema è che questa nostra tempra è conosciuta e riconosciuta anche da chi, nel Paese e fuori, continua ad ingoiarsi tutto, incarnando il detto mors tua vita mea.
Mai errore fu più grande: a differenza di ciò che la maggior parte di questi crede, la nostra essenza è destinata all’eternità ed è su questo piano che si esprimerà veramente il peso delle nostre azioni e del nostro cuore. Politica compresa.