E’ un bell’onore poter scrivere un post nel blog di Francesco!
Quando me l’ha proposto, la prima cosa alla quale ho pensato è stata “e io cosa ci scrivo?”. Poi ho pensato a quello che faccio da anni oltre a suonare, cioè insegnare, ed è uscito questo post.
Mi chiamano il Prof. e non perché sono quello più vecchio della band ma perché insegno musica in un’accademia da vent’anni. Le mie lezioni sono individuali, quindi significa che passo circa un’ora con un allievo di età variabile dagli 8 ai 65 anni dove teoricamente io parlo e lui ascolta, io suono un esercizio e lui lo ripete, dove io faccio la famosa domanda “cosa c’era da fare per oggi?” E lui…?
Ecco qui si apre un mondo, un mondo fatto di storie e aneddoti, ed è qui che inizia il mio secondo lavoro: ascoltare le persone.
C’è chi non ha fatto nulla perché ammalato o in vacanza o perché nella lezione precedente ha fatto finta di capire, c’è chi giura non ci fosse nulla da fare oppure non ha fatto niente perché ha compiuto gli anni… gli anni e quindi? C’è poi chi mi dà enormi soddisfazioni ovviamente.
L’età alla quale preferisco insegnare è quella che va dagli 8 ai 18 anni perché anche se piena di distrazione e insicurezze, credo sia l’intervallo di tempo dove avviene la vera formazione di un essere umano. Qui ci si gioca tutto e nel mio caso ho la reale possibilità di creare un musicista.
E’ anche l’età dove se qualche giorno prima hai compiuto gli anni non aspetterai altro che portare il regalo più bello in classe e qui arrivo al dunque.
Negli ultimi 4/5 anni tra i regali più gettonati c’è il mitico smartphone. Non sono un genitore quindi mi astengo dal dare giudizi, sarebbe troppo semplice fare accuse retoriche sul fatto che forse regalare uno smartphone ad un ragazzino di 12 anni non è la migliore delle idee. Mi rendo però conto che spesso viene regalato per sapere dove sono i propri figli, se hanno bisogno di qualcosa o se sono in pericolo.
Il pericolo è proprio quello che mi ha spinto a scrivere questo post. Vi racconto una piccola storia accaduta qualche mese fa.
Entra in aula Anna (nome di fantasia), 14 anni fatti qualche giorno prima e come prima cosa sfoggia un bellissimo cellulare nuovo di zecca che mette in bella vista. Qualche giorno dopo mi arriva una notifica sul mio cellulare con scritto “Anna ha cominciato a seguirti”, che per chi non sapesse è il messaggio del noto social media “Instagram” che ti informa che hai un nuovo seguace o “follower” come si dice in gergo.
Apro la notifica per guardare chi fosse e, visto che ha un profilo pubblico, cioè visibile a chiunque, noto dalle foto che è lei, la mia allieva 14enne.
La cosa che mi ha subito incuriosito è stato il link di un sito messo proprio sulla descrizione (BIO) sotto la sua foto “www.thiscrush.com”. Ci clicco sopra ed entro in una chat di ragazzini belli impegnati a dirsi di tutto: Insulti, volgarità di ogni tipo, minacce, proposte sessuali esplicite, insomma nulla che io possa ripetere in questo post.
Scosso da questi contenuti e dall’età degli utenti mi metto a cercare informazioni su ThisCrush. Scopro che è una piattaforma web di ultima generazione, utilizzata principalmente nella fascia d’età 12-15 anni, che fornisce, a chi si iscrive, un indirizzo web specifico, consentendo a chiunque di fare domande e inviare commenti anonimi e non. ThisCrush, che significa letteralmente “questa cotta”, è stato pensato per aiutare coloro, che in amore sono più timidi a fare il primo passo e a dichiarare il proprio interesse.
Questo sulla carta è l’obiettivo del sito che poi grazie alla garanzia dell’anonimato si è trasformato in un vero gioco al massacro, con lo scopo di colpire i più deboli fino a portarli ad un “crush” (schiacciare), insomma una versione più “soft” del più famoso “Blue Whale” (balena blu) che ha come obiettivo il suicidio della vittima.
A questo punto che fare con la piccola Anna? Faccio finta di nulla? Parlo con lei? Avverto i suoi genitori?
Dopo averci pensato per un paio di giorni opto per la terza opzione e chiamo sua madre. La telefonata è stata breve perché decido di dirle solo di andare sul profilo Instagram della figlia, visto che anche lei e il padre sono sullo stesso social media e suggerisco di cliccare sul link del sito nella descrizione. Dopo un paio di ore la madre mi richiama e in un misto di imbarazzo ed incredulità mi ringrazia dicendomi che non ne sapeva nulla e che avrebbe provveduto. Le domande che mi sono posto sono state molte, ma ve le evito e mi limito a darvi dei dati.
Nell’ultimo report ISTAT del 2014 che si basa su dati raccolti nel 2013, si evidenzia che poco più del 50% degli 11-17enni ha subìto qualche episodio offensivo, non rispettoso e/o violento da parte di altri ragazzi o ragazze. Il 19,8% è vittima assidua di una delle “tipiche” azioni di bullismo, cioè le subisce più volte al mese. Per il 9,1% gli atti di prepotenza si ripetono con cadenza settimanale.
Si sottolinea inoltre che tra i ragazzi utilizzatori di cellulare e/o Internet, il 5,9% denuncia di avere subìto ripetutamente azioni vessatorie tramite sms, e-mail, chat o social network.
Ci troviamo di fronte a dati di 5 anni fa e questo mi ha spinto a contattare uno dei massimi esperti di Cybercrime in Italia il Dott. Luca Pisano psicologo, psicoterapeuta ex direttore dell’osservatorio nazionale Cybercrime e attualmente di quello della regione Sardegna, il quale in una interessantissima telefonata alla domanda sulle percentuali attuali risponde così.
Sul cyber bullismo c’è un allarme ingiustificato, il problema sicuramente c’è ma la percentuale è tra il 5 e il 15%. Il vero allarme è sulla navigazione online a rischio e in particolare sul “sexting” e cioè sull’invio di messaggi di testo e immagini con contenuti sessuali espliciti, principalmente tramite cellulare o mezzi informatici. Questo in molti casi porta al “revenge porn” e cioè alla vendetta porno con la diffusione del contenuto con il rischio che diventi virale (diffusione di massa). Sulla navigazione online a rischio la percentuale é del 33%. Il 33% dei ragazzini dai 12 anni in su pratica il “sexting”, uno su tre. Questo è un problema molto più grave del cyberbullismo e si potrebbe risolvere cominciando ad insegnare educazione sessuale e all’affettività già a partire dalla scuola elementare.
Ma qual è la consapevolezza di un adulto su questi argomenti? Ci sono persone anche di 30/40 anni che difronte a nuove tecnologie spesso si trovano impacciati. Adulti che non comprendono termini come account, profilo, link, BIO, parole di uso comune tra i giovani. La madre di Anna non è stata in grado di riconoscere il pericolo e quindi proteggere la figlia perché mancava proprio la consapevolezza del potenziale pericolo.
Gli adulti hanno la tendenza a considerare le nuove tecnologie come se fossero dei gingilli, degli oggetti, senza considerare che invece siamo di fronte ad una rivoluzione di comunicazione con nuovi codici di comunicazione. I ragazzini usano Instagram, usano le storie di Instagram, usano ThisCrush per comunicare qualcosa di se. Una cosa interessante è l’uso delle “emoticon” (faccine o simboli) con le quali i ragazzi comunicano il proprio stato d’animo. Combinazioni di simboli messe in modo non casuale ma usate come un codice. Abbiamo scoperto ad esempio che nella provincia di Cagliari i ragazzini quando mettono nella descrizione di Instagram tre goccie come simboli vogliono segnalare che sono pronti ad un’azione sessuale. Gli adulti non vogliono rendersi conto che siamo difronte a codici specifici che non sanno decifrare e ad un mondo che deve essere studiato ed approfondito. Manca una formazione e non è sempre colpa degli insegnanti o dei genitori.
Se ci penso, mio padre aveva, rispetto alle esperienze che facevo io da piccolo, più o meno lo stesso mio bagaglio di conoscenze e mezzi: abbiamo condiviso più o meno gli stessi pericoli. Oggi invece un genitore non può avere fatto le stesse esperienze perché il figlio nasce in un’epoca digitale, mentre il genitore è fondamentalmente un pre-digitale, costretto costantemente a rincorrere tecnologie dove il figlio è gia perfettamente a proprio agio. Come arginare il problema quindi?
Noi nella regione Sardegna organizziamo dei corsi di formazione all’interno delle scuole e corsi per formare “genitori digitali” affinché siano in grado di educare in maniera più consapevole i propri figli alle nuove tecnologie. Per educare i figli il genitore deve avere lo stesso strumento tecnologico. Non è ammissibile che un figlio sia su Instagram, Facebook, ThisCrush o altro e un genitore no, se vuoi educare devi controllare e conoscere e per farlo devi esserci e saperli usare.
Il semplice atto di inviare una foto non considerando il rischio che questa possa essere diffusa può portare a danni psicologici e sociali importanti come la diminuzione dell’autostima, insorgenza di episodi depressivi o di sintomi ansiosi, paura, frustrazione, problemi scolastici e/o familiari, fino ad arrivare a idee suicida o alla vera e propria messa in atto del comportamento.
I bambini e gli adolescenti che hanno accesso ad Internet nel mondo sono circa 800 milioni, è chiaro quindi che il problema non può essere visto come marginale, ma va affrontato con le invincibili armi della conoscenza, educazione e controllo. Compito che spetta a genitori, insegnati e a tutti coloro che interagiscono con i minori ma con l’aiuto e quindi una reale presa di coscienza delle istituzioni.
Di questi temi e delle ragioni che stanno alla base di certe problematiche ne parla anche Francesco nei capitoli 9, 10 e 12 (La Castità, L’Ammirazione e La Fedeltà) de I segreti della Luce. Capitoli davvero illuminanti anzitutto per chi è in qualche modo educatore e che io per primo ho trovato utilissimi per il mio ruolo di insegnante.
“Dal punto di vista educativo ci sentiamo disorientati perché la rapidità di sviluppo mette fuori gioco, rendendo difficilissimo o quasi impossibile il dialogo fra le generazioni e la trasmissione equilibrata delle norme e della saggezza di vita acquisita con l’esperienza degli anni. Siamo chiamati a mobilitarci insieme e a tenere gli occhi aperti” Papa Francesco.
Tenete e teniamo gli occhi aperti. Questi giovani sono il nostro futuro.
Un abbraccio
Cherry