“Per quanto viaggiamo in tutto il mondo per trovare ciò che è bello, dobbiamo portarlo con noi oppure non lo troveremo“.
Ralph Waldo Emerson
Mattina di sabato 26 Febbraio 2011. Percepisco la sveglia di un telefono non mio, panico! Ah si… sono in un simpatico letto matrimoniale con Mike, sto rientrando in me dagli strabilianti viaggi onirici che contraddistinguono le mie notti. In quell’istante realizzo che sono in una casa di una famiglia araba a Nazaret conosciuta alcune ora prima, giusto a qualche metro dalla Basilica dell’Annunciazione. La sera prima avevo appoggiato i miei anelli e l’orologio di fianco al cuscino su un “comodino” di fortuna consistente in un sacco da 10 kg di diavolina… giusto per essere sicuri che se qualche presa elettrica della casa avesse dato di matto avremmo avuto la certezza di rimanere a Nazaret per sempre 🙂
Arrivando da una sera nella quale avevamo dovuto implorare il capofamiglia di smetterla di darci cibo, era intuibile che la colazione sarebbe stata interessante. Esco dalla camera ancora con la sensazione di avere la pancia piena e … BINGO! La colazione dei campioni!!! Credo che qui perfino la magrezza cronica di Lemma sarebbe messa a repentaglio 🙂 Sono comunque per lo più pietanze speciali.
Ci ritroviamo con il resto del gruppo alle 8.00 e ripartiamo senza sapere esattamente cosa ci aspetta. Boston intrattiene l’intera corriera con i suoi racconti e aneddoti relativi alla serata precedente. Chi lo conosce può immaginare, che risate!
Dopo questi momenti ilari ripiombiamo nella realtà palestinese. Don Nandino ha previsto di farci incontrare un gruppo di beduini per farci conoscere da vicino le loro vicende di popolo senza terra dopo l’occupazione israeliana di sessant’anni fa. Viaggiamo tra queste colline incontrando spesso ragazzi pastori con decine e decine di pecore e capre. Quando passiamo ci salutano, sorridono… mi ricordano noi quando da bambini salutavamo gli arei dell’aeronautica con lo stesso stupore. Solo che noi qui siamo con un pullman ed è pure abbastanza sgangherato.
Quando arriviamo al campo di beduini io e Ricky scendiamo dal bus e ci spostiamo dal gruppo per andare verso una tenda dove ci sono alcune ragazze e animali di ogni tipo: oche, galline, galli, cani, capre, pecore. Proviamo a creare un contatto con queste persone che ci sorridono e a cui sorridiamo. Noi e loro siamo cosi diversi esteticamente che rivedendo l’immagine da fuori è come se nell’osservarci vicendevolmente fossimo l’uno la macchina del tempo dell’altro: in loro vedevo terre e tempi lontani da noi e viceversa. Eppure un sorriso sincero è sempre uguale in ogni angolo di mondo e in ogni tempo. Mi chiedo come facciano queste ragazze a stare in ciabatte con questo vento e il freddo di stamattina, poi guardando meglio la pelle dei loro piedi nudi mi rendo conto che tutte queste persone hanno una piccola corazza al posto dell’epidermide.
Vengo richiamato all’ordine dal gruppo e ci avviciniamo insieme a un’altra tenda adibita a scuola. La mia curiosità femminile mi spinge a entrare nella tenda e … shock. Vedo qui una quindicina di bambini e tre “maestre” al lavoro all’interno della “scuola-tenda”. L’istituto è costituito da un pavimento in terra e fango pregiatissimo, banchi e sedie di plastica lavorata a mano e una lavagna dalle finiture straordinarie. Non ci sono finestre, non c’è corrente. Però le maestre stanno insegnando l’alfabeto ai bimbi con una dignità che mi spezza le gambe. C’è Amore, c’è la voglia di dare un senso al proprio essere nel mondo, c’è perfino allegria. Mi commuove profondamente ciò che vedo, mi si stringe il cuore davanti a tanta miseria, un quantità di miseria che riempirebbe le casse di qualsiasi forziere interiore!
Mi chiedo come sarebbe se noi – che sembriamo vivere realmente in un altro universo rispetto a quello di questa gente – ci trovassimo in tali condizioni per qualche mese.
I bambini mi vengono attorno, guardano divertiti i miei capelli, osservano ogni particolare che mi appartiene. Le maestre mi sorridono. Ogni sorriso dentro a questa tenda mi spara un missile terra-aria dritto alla coscienza.
Esco dalla scuola, il nostro gruppo sta distribuendo alcuni aiuti concreti come quaderni, penne, matite, vestitini, colori, gomme, medicine: piccoli gesti concreti che però per i beduini hanno un valore importante. Don Nandino dice che dobbiamo andare via subito e proseguire il nostro viaggio verso altre mete perchè siamo fuori orario. Mentre cammino dalla tenda-scuola al pullman alcune lacrime bagnano il mio viso, ho quella sensazione di quando la tristezza e il pianto sembrano strapparti la pelle dalle guance. Mi sento come la polvere.
Tra me e me rifletto e mi chiedo che razza di musicisti se ne andrebbero da un posto così senza aver suonato. Mentre cammino penso che siamo già abbastanza inetti per conto nostro, se poi non sfruttiamo i talenti che abbiamo in dono che ci stiamo a fare qui? Perciò mi reco dal Don e gli dico che mi lasci rimanere lì al campo ancora un po’ di tempo e pace alla tabella di marcia, da qui non si parte fino a quando non avremo donato qualcosa del nostro cuore. Se vogliamo metterla dal punto di vista egoistico: non riuscivo a sopportare il peso di andare via da lì come se fosse stato una specie di giro al museo della miseria del mondo.
I ragazzi mi guardano un po’ straniti ma subito dopo sono con me fuori dalla tenda-scuola con gli strumenti imbracciati e la gioia di essere musica. E’ difficile immaginare cosa abbiamo provato e io stavolta non credo di poterlo descrivere.
A forza di suonare per anni all’interno di un sistema con certe regole – che per quanto positivo e pulito cerchiamo di farlo essere rimane sempre un sistema basato su schemi – mi ero quasi scordato quale fosse la natura prima della musica popolare: Amare, condividere, comunicare, farsi carico del tempo dell’anima e prestarle un sollievo senza chiedere nulla in cambio.
Suoniamo, i bambini ridono, ballano, battono le mani, le maestre hanno gli occhi che brillano in modo incredibile, è come se ci fosse lì a cantare per loro Freddie Mercury.
Mi rendo conto che è uno dei momenti più belli della mia vita. Un musicista professionista è portato a sognare tutt’altro rispetto alla situazione che stavamo vivendo, invece spesso ciò che più ci fa felici è inaspettato.
Suoniamo San Salvador e mentre canto ogni tanto devo chiudere gli occhi perché incrociando gli sguardi pieni di gioia dei bambini e delle maestre il mio Cuore fatica a trattenere la commozione. E’ lì che arriva il brivido, una carezza che mi sfiora la nuca, eccoti, Sei proprio qui. Sei tra noi, come ti avevo chiesto.
Tutto ciò che è iniziato nel Dicembre 2007 incontrandoTi ha un significato preciso e dettagliato, non hai più lasciato nulla al caso. Abbiamo veramente bisogno di Te, dacci una mano, daccela a tutti, in particolare a coloro che sono più lontani dall’Amore e che hanno bisogno di Pace.
“Ed è così che ho sentito questo intenso impulso che salva la vita, che salva l’amicizia, che salva una casa, che salva continuamente e che guida quest’Anima alla sua Sorgente”.
ps: ecco un nuovo video, come sempre consiglio di guardarlo dopo aver letto il post 🙂