Ciao a tutti 🙂
È una grande gioia tornare a scrivervi dopo questi intensissimi mesi di lavoro!
A tre anni da Luce stiamo per presentare un nuovo album e siamo molto emozionati, soprattutto perché il primo estratto del disco verrà pubblicato tra circa un’ora. Si tratta di una assoluta anteprima, un brano intensissimo che amiamo profondamente, che però non definiamo come “singolo” di lancio dell’album.
Anche se nella musica italiana mainstream va sempre più di moda ripetersi il più possibile dicendo il meno possibile, speriamo che nessuno si aspetti questo da noi. Noi siamo qui per vivere il presente, autenticamente. E il presente ci sta interrogando in molti modi. La scelta di partire con una canzone così particolare, perciò, è qualcosa che va oltre le logiche musicali, discografiche, professionali o promozionali, e ora ve ne condividerò il perché.
L’estate scorsa rimasi shockato dalla notizia dell’omicidio del professor Mahmoud Al’Asali docente di legge al dipartimento di pedagogia dell’Università di Mosul. La vicenda del suo assassinio mi scosse profondamente. Un intellettuale musulmano, esperto in diritto coranico, che viene ammazzato dagli islamisti del califfato di fronte ai suoi studenti e poi decapitato per aver difeso i diritti dei cristiani e delle altre minoranze religiose presenti nella città, non è un dettaglio: è un segno dei tempi.
Quel giorno lessi tutti gli articoli disponibili a riguardo, sperimentando una empatia viscerale verso il professore e verso i tanti Giusti che hanno dato loro stessi in nome della Verità. Mi ritrovai in uno stato simile a quello che sperimento quando medito la Passione di Cristo.
Dare la vita di fronte ai propri studenti per rendere testimonianza alla giustizia, per custodirli dall’oblio della paura e della menzogna: esiste forse un esempio attuale d’amore e onestà intellettuale più potente di questo?
Avendo avuto varie esperienze dirette in Terra Santa, mi resi conto che solo uomini radicati nel territorio come Mahmoud Al Asali, nati e cresciuti in quel mondo, possono davvero fermare l’odio, l’ignoranza, e accendere la luce dell’amore, della tolleranza e della pacifica convivenza in quel mondo.
Ciò che viene da fuori, dall’occidente, difficilmente mette radici.
Ho pianto di dolore per il martirio di questo Giusto. E quel pianto mi ha interpellato, facendo nascere in me la necessità impellente di scrivere, di immedesimarmi in ciò che quest’uomo portava nel cuore.
Non c’era ancora stata l’escalation di barbarie firmate Isis e in Italia si parlava poco di tutto questo. Però l’omicidio del professore mi fece comprendere che qualcosa era cambiato, che quegli attacchi ai cristiani e alle altre minoranze non erano un fenomeno isolato, che c’era un disegno di epurazione simile a quello nazista nei confronti degli ebrei: identificare una persona e impossessarsi dei suoi beni, privare quella persona di ogni diritto, negargli ogni possibilità di vita e attività sociale e infine eliminarla fisicamente per il solo fatto di avere un determinato credo.
Non è un film, non è un documentario storico: è la realtà di oggi, di adesso. Quella notte d’estate restai sveglio a scrivere, e la mattina misi la canzone in un cassetto, insieme agli altri nuovi brani.
Successivamente, a novembre, mentre ero nel deserto del Negev insieme alla band, si manifestò nuovamente in me quell’empatia viscerale che avevo provato per il professore musulmano. Eravamo a Masada e la nostra guida don Massimo d’Abrosca ci condivise alcune riflessioni sull’attuale martirio dei nostri fratelli. Di fronte ad una realtà così atroce, il mio cuore iniziò a urlare di rabbia e disperazione. Quelle parole del don in un luogo così pregno di significati, schiusero ai miei occhi l’evidenza del silenzio assordante su questo tema da parte del mondo musicale. “Se nessun collega ha trattato l’argomento, un motivo ci sarà”… “Ma noi”, chiesi ai miei compagni di gruppo, “che scelta faremo?”… “Saremo complici di questo silenzio che uccide??”.
Sapevo che si trattava di un campo minato, pericoloso. Ma restare zitti andava contro ogni nostro principio, perciò in quel luogo decisi che Le case di Mosul andava inserita nel nuovo disco.
Il libro che accompagnò le mie nottate durante la registrazione dell’album fu “La guerra dei nostri nonni”, di Aldo Cazzullo. Mia cugina Elena me lo regalò a Natale allegando un biglietto con le foto del mio bisnonno Antonio Manea, cavaliere di Vittorio Veneto.
Leggendo le tante testimonianze contenute nel libro, mi resi conto che la guerra in Italia, cento anni fa, non era meno brutale di quello che accade oggi in medio oriente. Rimasi sconvolto da come alcuni italiani con gradi di comando superiore trattavano quelli di grado inferiore, compiendo atti tremendi, senza alcuna umanità. Esecuzioni sommarie, fucilazioni con estrazioni a sorte, attacchi assolutamente insensati con migliaia di morti preannunciati. Erano italiani che comandavano italiani, avevano lo stesso credo, non c’erano differenze di etnie o religione, eppure in numerosissimi casi non v’era alcuna compassione ed empatia. Quanto ho pianto leggendo i diari di quei giovani soldati! Ragazzi come me a cui veniva tolto tutto, che andavano a morire comandati da folli che disprezzavano la vita (quella altrui, chiaramente). Iniziai a comprendere meglio che il problema NON sta nell’Islam, ma nella mancanza di educazione all’Amore, alla verità, al rispetto, alla pacifica convivenza e all’empatia, di generazione in generazione, di epoca in epoca.
Da quel momento in poi, il ricordo dei miei due bisnonni e due nonni – rispettivamente soldati per l’intera prima e seconda guerra mondiale mi ha guidato durante la scrittura de Le case di Mosul. La canzone, per questo, pur radicandosi nel presente, poggia su valori universali che attraversano le epoche, le culture e i differenti credo religiosi.
Quando scrissi la conclusione del testo, con le domande “Dov’è l’amore? La compassione? La verità? La distinzione tra il Bene e il Male?”, non era solo la voce del professore Mahmoud Al’Asali a parlare dentro me, ma erano anche i miei nonni insieme a tutti coloro che stanno subendo dei conflitti.Nonostante ogni atrocità vista e sofferta, tutti questi miei parenti e anche il professor Al’Asali sono stati accomunati da una stessa conclusione, che ha dato la direzione alla loro vita: “Nessuno risponde. Ma io credo in Te”.
Io credo in Te, e in te: ogni uomo Giusto vissuto e vivente su questo pianeta ci sta dicendo Io credo in te! È la chiamata alla nostra natura più alta di uomini.
Ora vi condividerò qualcosa di ancora più personale. Lo faccio per dare testimonianza alla ragione che ha portato a questa anteprima.
Il 27 marzo, al termine della registrazione del nuovo album, erano stati definiti quelli che dovevano essere il primo e il secondo singolo dal disco.
Le case di Mosul non era mai stata menzionata tra questi. Quel giorno però, tornando da una riunione a Bologna, sentivo una grande confusione interiore e non riuscivo a convincermi delle scelte fatte, anche se rispondevano a criteri intelligenti. Arrivato a casa, Ricky, Lemma e Boston mi attendevano per conoscere le decisioni prese. I miei dubbi, però, non erano svaniti. Così in quel momento decisi di mettermi di fronte al Signore e pregare, presentandogli le mie perplessità e insicurezze. Gli chiesi di darmi chiarezza interiore e, se necessario, di mostrarmi con evidenza la via da percorrere.
Subito dopo aver terminato questa intensa preghiera, presi il sussidio quaresimale che stavo leggendo di giorno in giorno e, per venerdì 27 marzo, era prevista questa riflessione: “A Baghdad, domenica 27 luglio, oltre duecento musulmani hanno partecipato, in segno di solidarietà, alla Messa. Molti innalzavano cartelli con la scritta “Sono un iracheno, sono cristiano”. Altri portavano cartelli con la frase “Siamo tutti cristiani”, con una N finale che riproduce la lettera tracciata dai terroristi del califfato sulle abitazioni dei cristiani. Il professor Mahmud Al’Asali, docente di legge al dipartimento di pedagogia dell’Università di Mosul, non ha accettato di rimanere in silenzio di fronte alle violenze contro i cristiani. Ha avuto il coraggio di schierarsi apertamente contro ogni forma brutale di costrizione, da lui giudicata contraria ai dettami dell’Islam. Un gesto che – però – ha pagato con la vita: i miliziani dell’Isis l’hanno ucciso il 21 luglio”. (allego la foto del libretto).
Rimasi senza parole, attonito da quanto avevo appena vissuto. Avevo chiesto al Signore una risposta, ma mai avrei pensato di ricevere un tale segno, tra l’altro in modo così immediato, senza possibilità di replica o ulteriore dubbio.
Per giorni mi sono interrogato sul da farsi per ovvi motivi che spaziano dal professionale al personale. Non è stato facile accettare questo segno e far comprendere la ragione di una scelta così forte alle persone a me più vicine. Alcune di queste, per la prima volta, non hanno accettato ciò che stiamo proponendo. La cosa mi fa soffrire molto. Perché mai avrei pensato che facendo il musicista avrei dovuto misurare la quantità di verità da esprimere per evitarmi problemi. Questo la dice lunga su quanto gli autori e i cantanti si siano tirati indietro da un loro naturale compito. E si torna sempre a una piccola verità: noi siamo degli OUTSIDER. E lo dico come semplice osservazione di un dato di fatto.
Questa è l’intima testimonianza della genesi de Le case di Mosul e delle ragioni per cui la proponiamo come primo estratto e videoclip del nuovo album Cuore Aperto. Data la delicatezza del tema, auspico che coloro che ne vorranno condividere il contenuto – addetti ai lavori in primis – prestino la massima cura nel comunicare il brano, evitando qualsiasi strumentalizzazione ideologica o retorica che ne sporchino l’intento e la verità.
Il Signore ci lascia liberi di accettare o meno la chiamata: ma in cosa crederemmo se, quando arriva il nostro turno e Lui indica la strada, ci tirassimo indietro? San Paolo ci viene in aiuto e ci esorta, proprio nella liturgia di oggi: “Comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto”. Ce la mettiamo tutta!
Grazie, con affetto
#credoinTe.
Francesco