C’è una brezza speciale oggi, un incanto. Stiamo correndo verso il Natale di un anno che, per me, è stato pregno di vita. 12 mesi così zeppi di luce, incontri, viaggi, parole, sorrisi, concerti, eventi, canzoni, riflessioni, conferme, rivoluzioni che … già così, a ripensarci, c’è da chiedersi come il cuore, la pelle, le mani e gli occhi abbiano fatto a sperimentare tutto ciò senza andare in overload.
Durante questo stesso periodo dello scorso anno, il mio morale non era al top e, in quel frangente, mi ero fatto un’idea di come poteva essere quest’anno. Ma ogni volta farsi un’idea è un po’ inutile. La vita, grazie al cielo, è così invincibile che ci supera sempre, stravolge i piani, ridisegna le rotte.
Liga dice G come Giungla, io oggi dico G come Grazia: nel 2016 ne ho vissute molte. La prima che riaffiora alla mia mente come il profumo inebriante di una persona amata è il ricordo della Terra Santa con 200 di voi: la 2° edizione di “Un invito poi un viaggio” e il concerto a Betlemme. Ora, a distanza di mesi, mi rendo conto che quel viaggio ci ha portati a toccare una sorta di apice morale, una vetta scoperta spiccante sopra le nuvole.
Le 64 date della tournée: decine di migliaia di volti sorridenti, visi che diventano incontri e sguardi, parole cantate all’unisono che ricordano la forza dirompente d’una canzone. I cori all’unisono forti come un amico ritrovato, quei momenti che segnano il volto e si raccontano con lacrime di gratitudine.
La nomination de Le case di Mosul al premio di Amnesty International. L’immensa emozione per il matrimonio di Michele e Silvia, rispettivamente nostro agente e nostra responsabile di produzione. Il video e il singolo de Il mio miglior difetto che ha confermato due aspetti evidenti: l’ostracismo dei media nei nostri confronti, e la gioia di scoprirci ancora liberi di fare scelte controcorrente. La produzione e la messa in onda per tre volte del docufilm Un invito poi un viaggio 2016 su TV2000. La GMG (giornata mondiale della gioventù) vissuta da protagonisti ma partendo dal basso; quel concerto in centro a Cracovia che Dio sa cos’ha significato per noi; le canzoni al Campus Misericordiae; la prima lettura di Osea 6,1-6 nella Messa più significativa della mia vita. E ancora… Il bellissimo matrimonio di Fole e Zu (Matteo e Maria Chiara), fondatori dell’Officina del Sole. La pubblicazione de La strada del Sole in Francia, Belgio, Slovacchia e Slovenia; il traguardo della 7° edizione del libro in Italia. I concerti in Slovenia, Slovacchia e Svizzera. Una fuga a Medjugorje con le persone del cuore. Il concerto speciale per i 19 anni della band festeggiati con una scaletta che mi ha fatto rivivere tutti i momenti della nostra carriera, coronati dal raduno nazionale dell’Officina del Sole. La pubblicazione della compilation “Italian Punks go acoustic”, con la nostra rivisitazione di Want you bad degli Offspring a sostegno della onlus L’isola che non c’è, per dare la possibilità a ragazzi disabili di imparare a suonare uno strumento. E, dulcis in fundo, la Medaglia del Pontificato che Papa Francesco mi ha assegnato tramite i Card. Gianfranco Ravasi e Pietro Parolin nell’ambito del Premio delle Pontificie Accademie, con i miei genitori commossi durante quella indimenticabile premiazione.
Che ve ne pare? Si tratta di una lista densa, e potrei anche andare avanti.
È comprensibile che tra me e me potrei aver la tentazione di pensare che l’anno è già stato pieno, che ho fatto bene la mia parte, che posso stare tranquillo. Eppure qualche giorno fa ho pensato che è proprio quando la vita ti sta impegnando completamente che il rischio di perdersi diviene più grande. Ogni risultato che raggiungiamo nella vita, difatti, ogni cosa buona che sperimentiamo, corre il rischio di frantumarsi se si perde la consapevolezza che, per quanto possiamo aver fatto mille sacrifici, TUTTO È UN DONO. Ce lo dobbiamo ricordare sempre.
E allora arrivo al dunque di questo lungo post di fine anno che vuole raccontare la storia di una scelta.
Come vi abbiamo svelato questa mattina in anteprima a Tv2000, domani, 21 Dicembre 2016, alle 13.00, pubblicheremo il terzo videoclip e singolo di Cuore Aperto: Le opportunità che ho perso.
Questa canzone è tra le mie preferite, non solo di questo album. Non ha in alcun modo le caratteristiche di un singolo ma, oramai, per me non ha più importanza cosa sia giusto o sbagliato per il mondo discografico là fuori. L’unica cosa che conta è fare ciò che è giusto. Perciò ho scelto questo pezzo.
Sarà perché conosco le profonde ragioni di questa canzone. Sarà perché so cosa è accaduto mentre la scrivevo. Sarà… perché ho capito l’urgenza di risvegliare la consapevolezza che ciò che viviamo sulla terra non si conclude quaggiù, ma i suoi effetti vanno oltre la nostra presenza fisica qui e ora.
Mi è stato affidato un messaggio molto chiaro, una sorta di testimonianza diretta, una esortazione per chi, come noi, vive qui ed ha ancora la possibilità di scegliere.
Anche se spesso viviamo come se non dovessimo rendere conto a nessuno della vita che abbiamo, non siamo noi i proprietari esclusivi di noi stessi.
Un detto esclama: “Finché c’è vita c’è speranza!”. È vero, fino all’ultimo possiamo decidere se amare, se fare il bene, se scoprire noi stessi, se vivere con compassione rispettando la vita in ogni sua forma. Ma… chi conosce il tempo che ci è dato?
Ci sono molti inferni anche su questa terra. Se tutti prendessimo coscienza dell’effettiva realtà delle cose, essi scomparirebbero.
L’Amore è la chiave, ed è anche la chiave di lettura di questo brano.
Le opportunità che ho perso non è solamente una canzone. C’è qualcosa di più per coloro che avranno il cuore aperto per comprendere.
Questo video non sarà leggero, non sarà solare, non sarà vivace. Molti penseranno che non c’entra nulla con ciò che solitamente sono i The Sun, ed è qui l’errore. La felicità, la solarità, l’energia che sono in me si radicano in un percorso che spesso attraversa e affronta lunghi deserti.
Nella mia vita ho sperimentato, infatti, diverse volte periodi di smarrimento e di travaglio, certamente poi ben armonizzati con altri di pienezza e abbondanza. Negli uni e negli altri però non mi abbandona mai il gran dubbio sul mio operato, sul senso profondo delle cose, sulla mia responsabilità verso l’altro e verso l’Oltre. Perché ognuno di noi ha una responsabilità. Vorrei che questa consapevolezza restasse anche mentre la vita mi sta portando, per Sua generosità e tenerezza, sul palmo della mano.
La storia di questo video è più unica che rara.
Lo scorso novembre eravamo nel deserto del Negev in Israele per girare il videoclip de Il mio miglior difetto. Poche ore dopo l’arrivo nel Negev, scemato l’entusiasmo iniziale, cominciammo a renderci conto che, visto il nostro budget e i nostri mezzi, produrre un videoclip nel deserto di uno stato come Israele non era esattamente una passeggiata.
Io avevo fortemente voluto tornare in quei luoghi che un anno prima m’avevano ispirato la scrittura dell’album. Volevo mantenere un equilibrio di energia, di senso, anche per i videoclip. Purtroppo, però, al terzo giorno nel deserto non avevamo ancora concluso nulla di buono e il morale cominciò a precipitare. Stavamo spendendo un patrimonio per esser lì a girare ed ero stato io a spingere tutti a credere che farlo fosse una buona idea; ma sapevo che era una mezza pazzia. I ragazzi mi avevano seguito in quell’avventura più come atto di amicizia e fede che per convinzione. In effetti perché complicarsi la vita quando si poteva girare il video anche dietro casa? Non potevo biasimarli. Talvolta sono un tipo difficile, cocciuto, e mi fisso con il senso di certe cose.
Al quarto giorno laggiù, fatti 150 km su strade che attraversavano il deserto, arrivati nella location prescelta per il video e dopo aver montato tutta la strumentazione, oltre a vedere che il tempo era stranamente cupo, Boston si accorse di aver dimenticato il basso in hotel. Senza basso non potevamo girare il playback del video e la luce del sole adatta a filmare in quel periodo durava circa un paio d’ore: il morale crollò. Pareva che avessimo perso anche il quarto giorno. Gli animi dei ragazzi si accesero, com’è normale in una situazione del genere. Io invece, in quel preciso momento, sentii una inspiegabile pace nel cuore.
Passata la burrasca di quel momento, Lemma e Boston presero l’auto per andare alla ricerca di un basso (nel Negev!) e scese il silenzio.
Faccio un passo indietro: mentre percorrevamo la strada che da MizpeRamon porta a Eilat, pregando il rosario cominciai a sentire ripetutamente dentro me Le opportunità che ho perso. Tale ripetizione non cessò nemmeno un istante fino a quando Lemma ci disse di aver dimenticato il basso in hotel.
Fu a quel punto che misi assieme il puzzle: in mezzo a tutte quelle difficoltà, mentre la situazione mi stava sfuggendo di mano, quando nel gruppo si era rotto qualcosa, lontani migliaia di km da casa, in un posto così penetrante come il deserto, col cuore a pezzi per la morte di un caro amico in Italia e sconvolti per l’attentato a Parigi della sera prima, mi resi conto che l’unica canzone che in quel momento avrebbe espresso verità era proprio Le opportunità che ho perso. Perché era in quel momento che dovevamo trovare la forza di credere, di lasciarci amare anche da una realtà che talvolta può apparire amara e graffiante. Era quello il momento di rimanere saldi anche se crollava ogni cosa. Erano esattamente il luogo, il momento e la situazione perfetti per girare Le opportunità che ho perso.
Presi da parte Mike e gli dissi che avevo sentito questa cosa, che avevamo avuto tutti i segnali per farlo. Non c’è fuori programma che tenga, perché il programma vero, quello con la P maiuscola, non lo facciamo noi: da noi dipende la scelta di avere un cuore aperto per vedere e agire di conseguenza.
Mike, che pur amando seguire dettagliatamente i programmi ha anche il dono di una grande sensibilità e intuizione (oltre che la pazienza di stare con il sottoscritto), corse con me a cercare il punto perfetto per trasmettere ciò che la canzone comunica.
Dopo aver individuato quell’albero secco incredibilmente evocativo che vedrete, chiamammo il regista e amico Marco Donazzan – professionista di grandissimo talento – e in poco più di un’ora girammo il video.
Mai avrei pensato che questa canzone potesse divenire un videoclip, anche perché è il brano più “complesso” da digerire dei tre dischi dei The Sun.
Ma forse, in questo particolare periodo storico, dall’Alto ci viene chiesto proprio di parlare con più fede di certi aspetti della vita e, dato che ahimè i grandi della musica non lo fanno, per varie ragioni – come avete visto – capita che lo facciamo noi, anche se siamo solamente dei piccoli operai fragili e fallibili, un poco musicisti e un poco sognatori.
Il montaggio di Luca Donazzan e Silvia Dalle Carbonare ha poi conferito alla canzone l’abito perfetto, ricamato su misura per lei.
Non appena avrete visto il video, tornate qui, su questo blog. Fatemi sapere cosa ne pensate lasciando un commento qui sotto, ditemi cosa vi ha trasmesso e se questa canzone ha un significato particolare (anche) per voi. Leggere i vostri pensieri mi fa sempre un gran bene e mi edifica.
Concludo dicendo che tutte le energie e le risorse investite per realizzare questo nuovo video in arrivo domani sono parte di una missione che condividiamo con tanti altri Spiriti del Sole: ricordare a noi stessi che non sappiamo quando questo giro si concluderà. E perciò vale la pena dare il meglio, fin da subito, fin da ora.
Auguro a tutti, di cuore, un Natale di Luce, forte nell’amore e audace nelle scelte.
Vi voglio un gran bene,
Francesco