“Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna”– Gesù. – Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 3,16
Per chi di voi non avesse ancora letto il post di alcune settimane fa, desidero introdurre il post di oggi ripercorrendo quella che per me è stata una esperienza molto emozionante.
Di recente TV2000 mi ha proposto di commentare due brani davvero speciali del Vangelo secondo Giovanni per il programma Sulla Strada. Pur essendo stato onorato da tale invito, ammetto d’essermi sentito anche investito di una responsabilità gravosa: commentare il Vangelo è estremamente delicato, si tratta della Parola di Dio, non una cosa qualunque!
Non essendo io un teologo, né un commentatore di professione, né un personaggio televisivo, per preparare il commento mi sono affidato a due certezze della mia vita: la mia esperienza personale e la preghiera.
Così, dopo un primo momento di subbuglio, questa proposta si è trasformata in una ghiotta occasione per meditare più approfonditamente i brani che tra poco condividerò. Spesso accade questo: dietro la paura di non riuscire ad essere all’altezza di qualcosa che ci viene richiesta, in realtà si nasconde una grande opportunità.
Prendiamo per esempio questo caso specifico: se è stato chiesto proprio a me di addentrarmi esattamente in questi due brani di Giovanni, c’è anzitutto una ragione che deve parlare al mio cuore, al mio intimo, alla mia storia. Questo approccio ormai è una certezza: per quanto la nostra vita possa essere spesa in favore di altri e con una grande attenzione verso l’esterno, la realtà si manifesta anzitutto per parlare in modo intimo e personale a noi prima che a chiunque altro. Questo affinché possiamo anzitutto imparare a conoscere noi stessi, per poi eventualmente permetterci di sfiorare – anche solo col pensiero – la vita altrui.
A questo link potete leggere il brano proposto: ► Vangelo di Giovanni
E qui il mio commento tratto dalla puntata che potete vedere nel video:
“Per me che sono un cantautore – che tra i vari dischi ne ho scritto uno che si intitola LUCE – e che come uomo e come credente ho un rapporto particolarmente profondo con la Terra Santa e il deserto – nella terra di Gesù e di Mosè sono stato 7 volte – questo vangelo è una scarica elettrica. Ci chiede di andare verso la luce, di venire alla luce, di essere nella luce.
Nella mia vita ho sperimentato in vari momenti la contrapposizione che c’è tra la furbizia delle tenebre e la grazia e la pienezza che invece si sperimentano quando si è nella luce e nella verità. Ad un certo punto del mio cammino infatti, grazie a Dio, ho compreso che l’unico modo per mantenere il più continuativamente possibile la mia vita nella luce era restare fisso con lo sguardo sul Cristo crocifisso, l’anticamera della risurrezione.
Questo Vangelo mi commuove perché Dio Padre ci dice, attraverso Gesù, quanto ci ama, quanto ama ognuno di noi personalmente, perché ci dice che è disposto a dare la cosa che più ama, cioè il suo figlio unigenito, affinché ognuno di noi non vada perduto e, ancora di più, affinché ognuno di noi abbia la vita eterna. E credo profondamente che dobbiamo ricordarlo in particolar modo nei momenti più difficili della nostra vita, quando ci avviciniamo anche ad una fine, qualsiasi essa sia. Perché Gesù ci fa sapere quanto Dio ci è vicino, quanto Dio conosca precisamente la tragicità della nostra condizione umana, impregnata di amara finitudine, di tempi contati, di addii. Dio Padre vuole proprio dirci quello che ogni uomo vorrebbe sentirsi dire quando si avvicina ad una fine: “non è la fine, ci sarà ancora vita, ci sarà ancora forza, ci sarà ancora amore, e ci saranno per sempre caro figlio!”. Ed è questa la nostra più grande speranza: una certezza in Cristo Gesù”.