14 dicembre.
Stamattina non è suonata la sveglia.
Sono le 8 e la giornata inizia con Mario che entra in camera mia e comincia a dirmi di fare veloce ciò che sto già facendo il più velocemente possibile. Abbiamo solo questa giornata per fare una “gita” e oggi è il giorno di Petra.
Nella vita ho sentito nominare Petra tante volte quante il nome di Michael Jackson: ci deve essere per forza qualcosa di memorabile laggiù nel deserto!
Si parte. Boston saldamente alla guida e io al suo fianco. Abbiamo tre ore di strada. Con noi c’è Mauni, un ragazzo straordinario, caldeo iracheno, che collabora con don Mario aiutandolo nei numerosi progetti a favore dei rifugiati cristiani. Grazie ad un periodo passato recentemente a Loppiano presso i Focolarini parla perfettamente italiano.
Circa 6 minuti dopo essere usciti dal traffico impazzito di Amman riusciamo ad imboccare la strada che dovremo percorrere per circa 200 km. Al terzo chilometro, mentre viaggiamo su una strada dove si mischiano auto lussuose, vecchi tir e pick up che vanno a pezzi con cammelli caricati sui cassoni, assistiamo a una delle scene più incredibili di sempre: un signore vestito di nero si lancia all’impazzata in mezzo a quella che dovrebbe sembrare una superstrada a tre corsie agitando una paletta. Boston inchioda. “Pare proprio che voglia noi”, gli dico. “E’ la polizia”, ci dice Mauni. Tralascio la serie di frasi dette dal mio caro dott. Menegozzo.
Stavamo facendo i 102 km/h (più di così il furgoncino che era carico non andava) ed eravamo ampiamente superati da numerosi altri mezzi, ma il signore vestito di nero ha fermato proprio noi. Responso: multa per eccesso di velocità. Non dirò altro perché Boston ha promesso di raccontare per filo e per segno la disavventura.
Il viaggio ci dona motivi di gaudio non indifferenti, come appunto i cammelli sui pick up, le soste per prendere un delizioso “cappukkano” italiano, i dossi spietati e inaspettati, le camionette corazzate di militari con mitra pronti all’uso sparse qua e là. Boston, che è il miglior pilota che io conosca, è provato: “Amo queste strade dove, di tanto in tanto, scopri che le tre corsie di marcia tornano ad ospitare mezzi di varie decine di tonnellate che improvvisamente ti trovi di fronte perché viaggiano dalla parte opposta in contromano!”. Esperienze.
Arriviamo a Petra. O meglio, all’entrata di questo immenso sito archeologico, meta ambita e visitata da milioni di turisti che richiederebbe almeno un paio di giorni per essere visitata e gustata adeguatamente.
Siamo felici, ma la giornata continua a girare in modo strano: all’entrata gli addetti alla sicurezza ci fermano perché insinuano che il nostro amico iracheno sia in realtà una guida cristiana che ci sta accompagnando al sito senza essere una guida turistica autorizzata. Al di là dei 75€ a testa spesi per entrare (65 di biglietto e 10 di guida imposta) – spesa che fa riflettere su come in Italia si gestiscono migliaia di siti storico/artistici a cielo aperto), ciò che colpisce è l’accanimento delle guardie contro il nostro amico caldeo. Cerchiamo di spiegare gentilmente alla sicurezza che è la prima volta che tutti noi siamo lì, Mauni compreso, ma i toni accusatori contro di lui si fanno pesanti, tanto che io prendo le sue difese in modo chiaro senza capire però che quel mondo, per quanto voglia sembrare occidentalizzato, non lo è per nulla. I toni si fanno accesi in un attimo ed è così che assisto, mio malgrado, a come un cristiano rifugiato può venire trattato, e come anche un italiano abituato a viaggiare come me possa improvvisamente trovarsi in una situazione assai delicata se prende le difese della persona sbagliata (sbagliata per loro) nel posto sbagliato.
Quando ci viene finalmente permesso di entrare chiedo a Mauni perché ha avuto un atteggiamento così remissivo nei confronti dell’uomo della sicurezza, che lo accusava ingiustamente. La sua risposta mi ha gelato il sangue: “Sono cristiano, caldeo e iracheno: se provo a ribattere a persone come questa corro grossi rischi”. So che potrei fare a meno di scrivere questo dettaglio per mantenere un’idea fatata di certi posti, ma se vogliamo un mondo di rispetto e concordia dove anche un certo mondo musulmano mediorientale rispetti tutti i credenti delle altre religioni, è necessario conoscere lo stato reale delle cose.
A Petra il percorso è una meraviglia che si schiude davanti agli occhi passo dopo passo. La guida locale, un uomo robusto e simpatico, ci fa entrare nel vivo del sito e, anche se ci è stata imposto, in realtà è una benedizione averlo con noi perché da soli non avremmo mai colto certi dettagli e sfumature. Dal male di quel brutto momento iniziale all’entrata, ci è stato donato poi un bene che ha reso la nostra visita particolarmente coinvolgente!
Quando si arriva qui, non si può far altro che restare a bocca aperta. Effettivamente ha ragione chi dice che questo luogo va visto almeno una volta nella vita. Certo, se poi si è con la giusta compagnia, tutto diventa ancora più bello e arricchente!
Prima di ripartire con il nostro già amato furgoncino, Boston ed io ci diamo un abbraccio di fronte a questo deserto montagnoso. Sono queste le istantanee che mi porto dentro, per sempre.
Uno pensa che la giornata sia ormai conclusa, che ci resti “solo” il viaggio di tre ore per rientrare ad Amman. Invece… I racconti e le riflessioni che abbiamo ascoltato da Mauni durante questo viaggio di ritorno sono pensieri che accompagneranno a lungo le nostre coscienze. Parole vere, a tratti crude, di un ragazzo incredibile nato a Baghdad, che ha vissuto e sopportato tre guerre, che è dovuto scappare dal suo Paese, e che deve proteggere moglie e figlia in un mondo che spesso è loro ostile: “Siamo costretti ad andarcene da questi Paesi a maggioranza musulmana, perché non posso vivere tutta la vita facendo la guardia del corpo a mia figlia solo perché è cristiana, solo perché non porta il velo e viene sempre esposta a costanti pericoli di ogni genere… Non è vita questa! Da padre io voglio che lei possa crescere in un mondo migliore, un mondo dove le donne sono riconosciute nella loro dignità, difese, amate, rispettate, proprio com’è già nelle nostre piccole comunità cristiane”.
Mentre Mauni ci dice queste parole, alcune lacrime mi bagnano il viso. Sento tutta la sua preoccupazione di padre… e mi si spezza il cuore. Domando a me stesso come starei io al posto suo, come farei a non farmi divorare dalla rabbia e dalla sete di vendetta verso i persecutori. Piango in silenzio pensando a quanti genitori vivono questa atroce sofferenza. Ma Mauni è un ragazzo di una tale grandezza che, malgrado tutto ciò, conclude dicendoci: “Noi siamo cristiani, e nonostante tutto quello che ci hanno fatto, il perdono non è un optional, è la nostra fede, così come l’amore che Cristo ci insegna. Questa è l’unica via”.