Riprendiamo il nostro diario di viaggio in Giordania (qui trovate i precedenti quattro post ►Una musica di speranza, ►1° giorno, ►2° giorno, ►3° giorno).
Ieri è stato un giorno intenso: l’incontro con l’ambasciatore italiano, la suonata improvvisata in un ambiente così “particolare” insieme a tanti cooperatori internazionali, il concerto la sera, il post concerto pieno di allegria presso il ristorante italiano gestito dai ragazzi iracheni… tanta roba. Ma oggi è domenica, e la domenica ha un valore tutto suo, vince a mani basse. E poi viverla in una comunità cristiana mediorientale è un dono: serve, fa bene, allarga il cuore, amplia l’orizzonte.
Ci siamo, è il 16 dicembre 2018. Oggi pomeriggio suoneremo nel bellissimo teatro del Terra Sanctae College. Sono previste più di 400 persone, perlopiù cristiani rifugiati dall’Iraq. Mentre mi muovo per raggiungere il college mi chiedo cosa potrò sentire di fronte a questi fratelli, cosa potrò dire loro, che taglio darò a questo concerto così speciale. Le ore prima di un evento spesso custodiscono momenti seri, frangenti in cui m’interrogo più profondamente sul significato della musica e della mia vocazione. Usualmente chi mi è attorno parla, chiacchiera, mentre io divento più taciturno. E’ necessario per me mantenere desta l’attenzione interiore per vivere ciò che compio con presenza e consapevolezza, perché ogni concerto è una storia diversa, e la storia la fa anzitutto lo stato del nostro cuore… E anche il cuore chiede la sua attenzione, la sua preparazione. Attualmente il mio è in un magistrale mix emotivo di fine anno – dopo mesi di assiduo lavoro interiore per la scrittura de I segreti della Luce e per la tournée dello spettacolo Ogni benedetto giorno – perciò ora devo raggruppare tutte le mie energie residue e allinearle. Amplificarle. Il modo migliore per farlo? Ascoltarsi e riordinarsi, con preghiera, meditazione e silenzio, e poi vivere a cuore aperto la celebrazione eucaristica. Torniamo così a fare Messa con Mario, nella cappellina di questa immensa struttura scolastica. Fare Messa è tutto. E’ fermarsi a celebrare la vita, è dare tempo alla gratitudine per un Dio che ci dà se stesso costantemente, è incontrare noi stessi per riscoprire il nostro vero volto in Dio e, come conseguenza, quello degli altri, nostri fratelli.
Questa data, 16 dicembre, mi catapulta in un istante allo stesso giorno del dicembre 2000: presentammo il nostro primo album “Don’t waste time!” con un concerto indimenticabile al Silicon Kafe di Thiene (Vi). Avevamo grandi sogni, certo, ma posso assicurarvi che mai avrei immaginato che 18 anni dopo saremmo stati qui. Suonare ad Amman, suonare esattamente queste canzoni, in questo contesto, per queste persone, è un disegno talmente bello, straordinario, originale, che solo la Provvidenza poteva disegnarlo.
E’ ora. Nel backstage del teatro c’è un’aria frizzante e più emozionata del solito. Preghiamo con don Mario e Mauni.
Si comincia. In sala ci sono persone di tutte le età. Dopo un primo impatto molto rispettoso e silenzioso, il pubblico si scatena. Grazie a Mauni, che traduce in arabo, prima di ogni canzone raccontiamo un po’ di noi e proponiamo alcune riflessioni. E’ incredibile come in pochi istanti tra quattrocento e più persone si generi una tale unità di spirito da farci sentire un tutt’uno!
Il set acustico mi convince parecchio, Pigio ha tirato fuori un sound spettacolare da questo impianto… C’è l’energia giusta.Più procediamo e più so che ci stiamo avvicinando al momento clou: dopo diversi anni, suoneremo di nuovo Le case di Mosul. E la suoneremo per le famiglie che sono proprio scappate da Mosul, esattamente le persone che hanno vissuto ciò per cui il brano esiste. Non so nemmeno come dirlo.
Questa è più di una canzone, è più del primo singolo del nostro album Cuore Aperto, è più di una denuncia, è più di una presa di posizione musicale in un mondo discografico depresso e assente su questi temi. E’ la voce della coscienza che irrompe e che stravolge la nostra agiata quotidianità; senza false modestie, è quello che dev’essere una buona canzone: “un grimaldello che apre ogni gabbia, pronta ad irridere chi canta e tace” (Francesco Guccini – Una canzone).
Nella versione che proponiamo oggi, inizia Boston con un arpeggio delicato che introduce il ritornello.
Case in fiamme
morti appesi
non ne voglio più
Ogni cuore vale uguale
anche quaggiù
Vite esplose
Lame e bombe
non ne voglio più
Ogni uomo nasce innocente
Dimmi cosa ci distingue?
L’emozione in sala non si spiega. Canterei questa canzone altre mille volte. I volti di questi uomini, così segnati, ci si stampano dentro. Ci guardano quasi fossimo dei marziani, “perché state cantando il volto di chi si è sentito dimenticato da tutti”, ci dice Mauni.
Ma non ci fermiamo qui, se lo facessimo sarebbe troppo duro, quasi ingiusto. Perché queste persone ci stanno insegnano una speranza, una dignità, una forza che sono segno stesso di Dio, e meritano di lasciare questo teatro con un vero sorriso nel cuore. Dio ama sentirci cantare nella gioia: in un batter d’occhio con Onda perfetta e Spiriti del Sole la speranza torna a brillare negli sguardi di tutti, noi compresi.
Ci rialziamo e, mentre tutti ballano e si scatenano, sento che non c’è posto al mondo più giusto dove potremmo essere in questo preciso momento della nostra vita.
Francesco
P.s.: un post scrittum. Voglio condividere un retroscena un po’ delicato, ma significativo. Mentre noi siamo qui in Giordania a suonare per i rifugiati cristiani dell’Iraq, Mediaset – in collaborazione con il Vaticano – sta producendo il “Concerto di Natale” presso l’aula Paolo VI per “promuovere il sostegno ai rifugiati cristiani dell’Iraq”. Una strana coincidenza che, dalla nostra prospettiva attuale, assume un valore significativo.
Faccio un passo indietro. A inizio estate, visto il tema così vicino ai The Sun e alle nostre – ormai note – iniziative promosse negli anni, eravamo stati proposti da terzi per essere inseriti tra gli artisti di questa kermesse televisiva. Ma… i The Sun sono poco noti al pubblico televisivo generalista ecc. (…), risposta che stupì chi ci propose, ma non noi, perché conosciamo ormai questo genere di situazioni e le pressioni che determinano chi c’è e chi no. Con questo andazzo, artisti che di questi temi sanno poco e personaggi che, fino ad ora, non hanno mai speso una sola parola a sostegno dei cristiani perseguitati nel mondo, si alterneranno nel concerto televisivo con gli ascolti dell’anno più alti dell’intero palinsesto nazionale. Fortunatamente, oltre a questi, dietro le quinte conosco anche persone che invece credono davvero nel fine sposato da questo evento TV e sono certo che, alla fine, riusciranno a trasmetterne il valore.
Ciò che però interroga, è osservare come – proprio mentre da un’aula vaticana Mediaset registra il concerto di Natale per i rifugiati cristiani dell’Iraq in Giordania – noi siamo in Giordania esattamente con questi fratelli rifugiati per suonare e stare con loro. Non la settimana prima, non quella dopo, questa!
Un “NO “ televisivo – che può superficialmente apparire come una sconfitta – si è trasformato nel più bel “SI’” di vita vera, di vera musica e di vera libertà. Perché non essere stati inseriti nel palinsesto di quel programma TV ci ha permesso, indirettamente, di essere qui, esattamente ora. E solo Dio sa quanto bisogno avevamo di vivere tutto ciò.
Il Signore ha sempre le sue vie per condurci laddove la nostra gioia sarà piena.