Caro diario… siamo alla sesta e ultima pagina di questo straordinario viaggio in Giordania.
In pochi giorni abbiamo toccato con mano innumerevoli realtà umane, sociali, paesaggistiche, storiche e spirituali. E tutto questo ci ha segnati. Sono stati giorni pieni, quel tipo di giorni che danno una forma al pensiero e fanno crescere nella consapevolezza (qui trovate il racconto degli altri giorni ►Una musica di speranza, ►1° giorno, ►2° giorno, ►3° giorno, ►4° giorno).
Oggi è il 17 dicembre, lunedì, e ci attende il terzo concerto qui ad Amman. Oggi è il compleanno del Papa, ma è anche il compleanno di Francesca, la nostra responsabile di produzione – che ora è in Italia. Perciò la giornata parte con i nostri auguri di gruppo a Franci, con canti e battute varie e poi… si corre verso un giorno che abbiamo scelto di riempire oltremodo per non farci scappare un solo istante. Nonostante la stanchezza accumulata e il concerto che ci attende tra poche ore, oggi abbiamo scelto di svegliarci presto presto per andare a nord e visitare i resti della città romana di Jerash (Gerasa). D’altronde domani mattina si riparte e vogliamo sfruttare al massimo ogni benedetto istante!
Dato che – come sempre – del pranzo e della cena non v’è certezza, la colazione del nostro piccolo ma accogliente hotel è senza dubbio la roccaforte alimentare di questo nostro viaggio. Stamattina ho però la pessima idea di copiare quel che sta mangiando Ricky e, preso da un impeto d’euforica fiducia, chiedo anche io una omelette come la sua. Le uova in tour sono sempre un elemento potenzialmente killer. Negli anni ho visto caderne colpiti almeno una volta tutti i miei compagni. Fino ad ora io mi sono sempre salvato per una ferrea disciplina che, però, stamattina, di fronte all’omelette di Ricky, è tragicamente venuta meno (pagherò poi le conseguenze intestinali di questa mia leggerezza nelle prossime ore e domani durante il viaggio di rientro in Italia).
Facciamo il nostro bel viaggetto verso Jerash e, come al solito, si ride, si scherza, si prega… e qualcuno dorme in posizioni simil-Picasso.
Avevo sentito parlare numerose volte del sito archeologico di Gerasa, di come questi resti della città rendessero evidente la grandezza di Roma e le impressionanti capacità architettoniche, artistiche e ingegneristiche dell’impero. Effettivamente si resta davvero a bocca aperta. Le foto possono dare un’idea, ma esserci è un’altra cosa.
Pur avendo solo un paio d’ore, la visita ci permette di gustare questa meraviglia: ci si sente davvero in un’altra epoca e non è difficile immaginare l’effetto sconvolgente che una città del genere poteva fare ai viaggiatori/mercanti/soldati di un tempo… Una tale magnificenza e grandezza sono impressionanti perfino oggigiorno! Ne restiamo affascinati.
Mentre passeggiamo su questo lunghissimo cardo disquisiamo tra noi di come il mix di capacità, conoscenze e tecniche che rendevano possibile una così ineguagliabile bellezza resti un vero mistero. Sono passati 2000 anni e nessuna impresa al mondo sarebbe in grado di riproporre fedelmente quel che c’era qui.
Mario ci controlla per tenere d’occhio gli orari, perché alle 17 comincerà il concerto di oggi, che faremo in esclusiva per i più giovani cristiani iracheni rifugiati ad Amman.
Alle 13 ci rimettiamo in strada, direzione teatro del Terra Sanctae College. Durante il viaggio io e Boston ci troviamo a ridacchiare per una scena che gustiamo spesso quando siamo in furgone: dietro di noi c’è un collage di colli spezzati, quasi fosse passato un diffusore di sonnifero potentissimo… Scene che rendono più esilarante il nostro rientro (la foto prova a testimoniare l’atmosfera).
Arriviamo a pelo al teatro per fare un line check e decidere che set fare, dovendolo adattare al particolare pubblico di oggi. Ci è capitato raramente di suonare due volte per due giorni di fila nella stessa location, lasciando tutti gli strumenti montati, e devo dire che è una cosa che mi piace particolarmente. La prima sera c’è l’emozione della novità, la seconda la confidenza. E il concerto di oggi, per me, è il vero centro del viaggio. Ed arriva all’ultimo giorno.
Con Mauni e Mario decidiamo la linea narrativa da tenere e poi via… si comincia. In sala ci sono 200 ragazzi tra i 10 e i 18 anni. La loro gioia nell’essere al nostro concerto è simile a quella che avrebbe Ricky se andassero a trovarlo a casa i personaggi di Star Wars. Della serie che non si può immaginare.
Don Mario lancia subito un missile terra aria: “Se oggi io sono qui con voi, è perché nella mia vita ho incontrato questa band, i The Sun, che per me sono come fratelli. Vi dico di più: se io oggi lavoro al vostro fianco e sono ad Amman, è perché i primi ad avermi parlato di cosa accadeva a Mosul sono stati proprio i The Sun”. Mario è sempre troppo buono con noi. Ma le sue parole ci ricordano come la Provvidenza disegni sempre un percorso immensamente più grande e più bello di come lo possiamo immaginare.
Quando il concerto comincia riceviamo un’accoglienza davvero speciale. In 200 fanno casino come fossero 20.000. La loro gioia mi sovrasta, mi sopraeleva e mi porta a vedere oltre la storia durissima che ognuno di questi giovani ha sopportato finora.
Dopo aver introdotto Il mio miglior difetto, terzo pezzo, mentre canto mi ritrovo commosso. Cerco di tirare dritto fingendo sia solo un’emozione passeggera, invece quella commozione diventa sempre più profonda.
Ad ogni canzone l’interazione tra noi tutti aumenta e ad un certo punto, incrociando lo sguardo di Ricky e poi di Lemma, mi accorgo che hanno entrambi gli occhi gonfi di lacrime.
Stentiamo tutti a trattenerci. Non si può capire cosa significhi in generale – e in particolare per noi – suonare per questi nostri giovani fratelli cristiani. I loro sguardi pieni di vita, le loro voci, la loro energia, sono ben oltre una semplice scarica d’adrenalina momentanea, passeggera. E mentre osservo tutto questo mi rendo conto che questo è senza dubbio uno dei momenti più belli della mia vita.
Mentre suoniamo La strada del Sole il teatro pare tremare. Poi su San Salvador improvvisiamo uno sketch per far cantare al pubblico il coro della canzone con Lemma, che resta da solo ad eseguire la sua parte con la fisarmonica, con le voci di tutti questi piccoli amici a seguirlo.
Ma il momento che più mi scuote dentro è quando presentiamo Le case di Mosul. In sala si materializza un silenzio sacro. Diventiamo un cuore solo, un’unica preghiera si eleva al cielo: “Se un uomo è uomo difende ogni vita, non fa differenza lontana o vicina. Nessuna guerra è in nome di Dio, se il mondo va a fuoco brucerò anch’io. Dov’è l’amore? La compassione? La verità? La distinzione tra il bene e il male? Nessuno risponde. Ma io… CREDO IN TE”. Sbam!
Ecco, ora ho la certezza: sto provando la stessa identica sensazione che ebbi a fine febbraio 2011 a Betlemme quando suonammo in quel garage per bimbi abbandonati e con gravi disabilità, bambini che poi si trasferirono più avanti alla casa di accoglienza infantile Hogar Ninos Dios.
Pensavo questo sarebbe stato il climax, ma poi… Onda perfetta e Spiriti del Sole sortiscono l’effetto di un inno nazionale alla finale dei mondiali!
A fine show i giovani iracheni si accalcano fronte palco e … mi alzano di peso e cominciano a buttarmi in aria come mai mi era successo prima d’ora. Poi è la volta di Lemma, Ricky, Boston e Cherry. Un trionfo di umanità. Un segno di fraternità che vince ogni resistenza all’amore.
E mentre sono qui, tra il cielo e la terra di questi ragazzi, mi rendo conto che tutto il senso della nostra musica è esattamente questo: sentirci fratelli, unire le strade in una, darci forza gli uni gli altri e aprire orizzonti di Luce.
E ancora una volta dico GRAZIE.
18 Dicembre.
E’ ancora notte, sto facendo la valigia per il volo che ci attende tra poche ore. E… Penso solo a quanto sia bello vivere. A quanto valga la pena farlo fino in fondo. Non importa quanto costi, non importa la stanchezza, la durezza di questo mondo, le inquietudini che ci assalgono costantemente. Vale la pena vivere, vivere davvero.
Ho nel cuore l’abbraccio che ci siamo dati a fine concerto con Mike, Pigino, Mario e Mauni. Fa un certo effetto vedere un gruppo di uomini piangere d’amore, e mi fa un certo effetto ripensarci ora, a distanza di alcune ore. E ancora mi resta una sola frase nel cuore: quanto è bello vivere. Quanto è bello vivere. Quanto è bello vivere.